• Gli incrementi, pur più modesti, nei tassi di mortalità testimoniano che il melanoma cutaneo è effettivamente aumentato nelle popolazioni europee, o di origine europea, e che le recentissime flessioni della mortalità, soprattutto nei giovani, sono ascrivibili ai primi risultati favorevoli della diagnosi precoce.

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    Ma anche l’aumento dei tassi di incidenza dei melanomi sottili rispetto a quelli più spessi, porta a ritenere che i progressi diagnostici siano in parte alla base degli aumenti di incidenza riscontrati, soprattutto nell’ambito dell’ultima decina d’anni.

    Il melanoma cutaneo negli ultimi 20 anni, mentre le modalità di trattamento non sono molto cambiate, è aumentato notevolmente il numero dei melanomi asportati in fase precoce. Questo aspetto risulta particolarmente evidente in quelle aree geografiche in cui sono state condotte delle campagne di prevenzione secondaria.

    Infatti il melanoma cutaneo ha una prognosi - cioè un’evoluzione nel tempo - strettamente dipendente dallo spessore raggiunto nella pelle al momento della sua diagnosi e asportazione.

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    Se il melanoma è ancora rimasto confinato agli strati cutanei superficiali, la prognosi è generalmente buona, con guarigione del paziente.

    Viceversa, se il melanoma ha raggiunto gli strati più profondi perché ha avuto molto tempo di accrescersi prima della sua identificazione ed asportazione, i rischi di vita per il paziente sono molto elevati. Individuare il melanoma quanto più precocemente possibile rappresenta quindi la principale arma per tentare di ridurne la mortalità.

    Grazie, quindi, a campagne di educazione sanitaria per incentivare nella gente la sensibilità al “neo che cambia”, adesso la quota di melanomi scoperti quando la prognosi può essere ancora favorevole è arrivata al 60-70%.

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    Il risultato è stato il miglioramento della sopravvivenza: nel 1960 solo la metà dei malati di melanoma era ancora in vita 5 anni dopo la prima diagnosi, mentre oggi lo è circa l’80% di essi, quindi un 30% in più. (Fonte:ISS)

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